A detta di alcuni scienziati, nella natura non esisterebbero cause finali. Esse, infatti, non sarebbero altro che proiezioni della mente umana: assenti, come tali, dal meccanismo effettivo dell’universo, retto da cieche concatenazioni causali.
Com’è noto, quegli stessi scienziati concepiscono l’uomo come una parte o frammento della natura; frammento, dunque, integralmente risolvibile ed esauribile in essa. L’essere umano sarebbe, così, null’altro che un composto materiale governato da leggi, alla stregua di un sasso o di una pianta estremamente complessi e raffinati. Il determinismo causale che lo condiziona sarebbe il medesimo che condiziona il moto di un pianeta o il volo di un gabbiano, riducendosi il “libero arbitrio” alla mera libertas a coactione.
Questa concezione – non “scientifica”, ma inavvertitamente metafisica – della natura e dell’uomo circola almeno dai tempi di Hobbes, ed è oggi incredibilmente diffusa anche a livello popolare. In essa, però, spicca una contraddizione ineludibile e tale da invalidare l’intera prospettiva.
L’uomo è solo un “pezzo” della natura; di quella stessa natura nella quale non sarebbe dato reperire alcun finalismo. Ma la natura-uomo, come persino uno scienziato riduzionista dovrebbe poter riconoscere, svolge ogni sua operazione sulla base di un fine. Indosso un maglione per difendermi dal freddo; muovo le dita sulla tastiera affinché compaiano le parole sullo schermo; leggo un libro perché voglio imparare.
Siamo così di fronte a un evidente paradosso: nella natura non esisterebbero cause finali, ma una parte della natura (l’uomo) adempirebbe il proprio “funzionamento” quasi esclusivamente sulla base di esse.
L’incongruenza richiede di essere sanata. Delle due, l’una: o la natura-uomo non svolge le sue operazioni in base a cause finali (fatto smentito dall’evidenza empirica), o l’uomo non è solamente natura.
Ma se l’uomo non è solamente natura, “cade” anche ogni motivo di ritenere che nella natura materiale extra-umana non esistano cause finali. Il fatto che l’uomo non sia solo natura, infatti, implica che esista qualcosa di superiore alla natura; se esiste qualcosa di superiore alla natura, la stessa natura non può che essere subordinata ad esso; ma l’idea stessa di subordinazione implica l’idea di finalizzazione.
È il superiore che “detta le regole”: se esso ravvisa nell’inferiore una finalità, significa che quella finalità esiste davvero. E il discorso non si esaurisce qui.
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