La Chiesa (dice il Papa [Giovanni XXIII, ndr]) non depone né indebolisce la sua opposizione all'errore, ma «al giorno d'oggi preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che delle armi della severità». Essa osta all'errore «mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con le condanne». Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell'errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l'errore, si corregge l'errante e si preserva altrui dall'errore. Inoltre verso l'errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all'errore l'intelletto repugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia essendo, secondo S. theol., II, II, q. 30, a. 1, dolore della miseria altrui accompagnato dal desiderio di soccorrere, il metodo della misericordia non si può usare verso l'errore, fatto logico in cui non vi può essere miseria, ma soltanto verso l'errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l'errore. Il Papa peraltro dimezza un tale soccorso, perché restringe tutto l'officio esercitato dalla Chiesa verso l'errante alla sola presentazione della verità: questa basterebbe per sé stessa, senza venire a confronto con l'errore, a sfatare l'errore. L'operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo a una mera didascalia del vero, fidando nell'efficacia di esso a produrre l'assenso dell'uomo e a distruggere l'errore.
Dal paragrafo 40 di Iota unum.
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